Parlo da donna. E ciò che mi indigna, in quanto donna, non è il fatto di essere considerata "carne da macello", bensì il fatto stesso che esista una "carne da macello" a cui poter essere paragonata, quel referente-assente il cui significato originale è stato svalutato per divenire metafora di qualcos'altro ed essere così incluso all'interno di una gerarchia antropocentrica. Proprio noi donne, spesso vittime di discriminazione e mercificazione, attente in molti casi a tematiche di tipo sociale come il sessismo, dovremmo capire che qualunque forma di discriminazione si sviluppa dalla medesima radice; che si tratti di una differenza di razza, di sesso o di specie, la discriminazione è attuata sempre nei confronti del "diverso da sè", chiunque egli sia, e a seconda dello staus di colui che la attua, che sia bianco occidentale, uomo o ancor più semplicemente umano. Se io mi indignassi per il paragone con la "carne da macello", ma non per la "carne da macello" in sè, ritenendo di avere un diritto maggiore a non essere discriminata e mercificata, non farei che riprodurre lo stesso meccanismo a cui tento di oppormi, e il mio punto di vista specista avrebbe la stessa identica validità del punto di vista sessista di cui sono vittima. Pensateci.
Questo l'articolo della Repubblica Napoli.it, in cui si parla dell'indignazione delle utenti.
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