Uno spazio che aspira a fornire spunti di riflessione sulla realtà che ci circonda e che spesso sfugge ai nostri occhi, invisibile se pur nella sua disarmante evidenza. Una lettura rivolta a chi ha già messo in discussione se stesso, le ideologie dominanti e ciò che sembra non rientrare nella sfera delle proprie scelte, incrollabile, ineluttabile, ma anche a chi, pur rispettando ed amando sinceramente qualunque forma di vita al di là della specie, non è ancora riuscito a farlo.

domenica 28 aprile 2013

Sperimentazione animale - La "ragionevolezza" delle argomentazioni in favore

Probabilmente mi pioveranno addosso molte critiche, ma chi ha avuto modo di conoscermi conosce anche il mio punto di vista, le mie idee e il mio sentire, radicalmente contrario a qualunque forma di sopraffazione del più debole e a qualunque abuso nei confronti di creature innocenti. 
Sono un'appassionata sostenitrice dell'antivivisezionismo etico, una di quelle che tentano di fare un uso limitato se non nullo del cosiddetto antivivisezionismo scientifico. Mi si potrà certo contestare di non avere un senso pragmatico, di guardare con diffidenza a delle strategie che possono sicuramente rivelarsi più proficue nell'immediato e che possono significare materialmente, per gli animali non umani chiusi nei laboratori, la fine della loro detenzione e della loro ingiustificata sofferenza. Ma le polemiche e le reazioni scatenate in questi ultimi giorni dai cinque attivisti che hanno occupato il laboratorio universitario di Milano mi hanno dato modo di continuare a credere, forse erroneamente, che portare avanti un discorso dal punto di vista puramente etico rimanga, se non l'unico modo, almeno quello più efficace per scardinare una cultura che si basa sulla tortura e sulla manipolazione di altre vite senzienti. Anche se, mi rendo conto, si tratta di un discorso che ha presa minore, che fatica ad entrare nella mente e nella coscienza dell'essere umano che fa mostra, ancora una volta, della sua natura egoistica e volta ad accogliere maggiormente istanze che non lo privino del ruolo di protagonista.
Ho fatto volontariamente riferimento ad una sofferenza ingiustificata, e non ad una sofferenza inutile. Il dibattito è sempre più incentrato sull'utilità/inutilità della pratica. Mi verrebbe da dire trascendendo il concetto fondamentale, e cioè quello della sua illegittimità, che è esattamente quello che vorremmo far penetrare. Semplicemente, lasciamo la vittima della tortura sullo sfondo, e passiamo a questionare "tra di noi" (vale a dire tra animali umani a favore e contro la sperimentazione) la validità di una pratica scientifica. Così come potremmo dibattere di qualunque cosa su cui, semplicemente, non ci troviamo in accordo. Viene quasi da pensare che in una sottile sfumatura le due opposte fazioni siano unite, che portino avanti lo stesso discorso: la dignità dell'animale non umano non è equiparabile alla dignità dell'animale umano. E a dimostrazione di ciò il discorso verte su altro, su ciò che può arrecare vantaggio o svantaggio alla vita dell'animale umano.
Se proviamo per un attimo a non affrettarci a tacciare di irragionevolezza le argomentazioni di coloro che difendono la sperimentazione animale, potremmo accorgerci che tali argomentazioni, in realtà, non sono affatto irragionevoli. Mi spiego meglio: io sono la prima a parlare di irragionevolezza, ma ritengo che questa connotazione vada attribuita non tanto alle argomentazioni, quanto al punto di vista da cui tali argomentazioni scaturiscono. I ricercatori non nascondono affatto di attribuire alla vita di un topo un valore "inferiore" rispetto a quello che attribuiscono alla vita di un essere umano. Partendo da questo presupposto, è ovvio che credano nella legittimità del loro lavoro e che sostengano a spada tratta i benefici che possono derivare, per una specie, dal sacrificio di altre specie. Ed è altrettanto ovvio che il discorso proceda su dei binari paralleli, che non hanno modo di incontrarsi. 
Se provo a mettermi nella testa di un ricercatore e ad assumere il suo punto di vista, e soprattutto, se provo per un attimo a far finta che anche per me la vita di un animale non umano non sia equiparabile a quella di un animale umano, non vedo alcuna irragionevolezza nel parlare dell'utilità del modello della sperimentazione animale. Un esempio stupido: ho una sostanza potenzialmente ustionante e ho di fronte un essere umano e un oggetto (perchè l'animale è considerato alla stregua di un oggetto); la logica mi impone di provarla sull'oggetto per vedere almeno nell'immediato l'effetto che ha. Potrebbe non averne alcuno sull'oggetto, ma poi averne sull'essere umano, così come potrebbe averne direttamente sull'oggetto, e a quel punto avrò evitato che quell'effetto si verificasse sull'essere umano. Si tratta di prove, che hanno anche e certamente possibilità di errore, ma da cui qualcosa di utile può certamente venir fuori.
Non a caso, nel dibattito sull'utilità/inutilità del modello animale, i ricercatori e i loro sostenitori hanno sempre mille risorse a cui poter ricorrere; risorse che iniziano a mancare nel momento in cui la domanda verte su quali siano poi in realtà le motivazioni, scientifiche o non, del ritenere la vita animale non dignitosa quanto quella umana, e su quali siano i criteri in base ai quali risulti plausibile lasciarla all'esterno del cerchio di qualunque considerazione morale.
La ricerca scientifica non esula dalla morale, e i suoi stessi protagonisti affermano di far ricorso al modello animale a causa dell'impossibilità di avere a disposizione un modello umano su cui attuare le stesse tipologie di esperimenti. Di che impossibilità si tratta, se non di tipo morale?
Ne consegue che, per far rientrare anche l'animale non umano all'interno della sfera morale che decreti l'impossibilità di farne uso, bisogna prima scardinare l'assunto (irragionevole) da cui parte qualunque tipo di (logica) argomentazione, vale a dire l'equiparazione dell'animale ad un oggetto. E questo non è possibile concentrandosi sull'utilità/inutilità della pratica, lasciandolo quindi ancora una volta sullo sfondo esattamente alla stregua di un oggetto e facendosi inconsapevolmente complici dello stesso punto di vista di chi lo ritiene tale.
Un discorso di tipo etico invece, al contrario di un discorso di tipo scientifico, oltre ad essere la freccia che mira direttamente al bersaglio che intendiamo colpire senza girarci troppo intorno, porta i ricercatori a chiudersi nell'impossibilità di dare una risposta plausibile che possa legittimare l'assunto da cui partono, e li spinge, in mancanza di argomentazioni valide in merito,  a deviare miseramente la direzione del discorso verso lidi per loro più sicuri, o a dare risposte non pertinenti che indicano la deliberata volontà di non partecipare onestamente al dibattito, ignorando del tutto le istanze, le domande e le argomentazioni di chi hanno di fronte. Vacillano, si irrigidiscono, si nascondono dietro posizioni molto simili agli assunti universali tipici della religione che essi stessi deridono e disprezzano. La superiorità della vita umana rispetto a quella animale la si può sostenere ciecamente soltanto da un punto di vista religioso, che non è certo il loro. Dunque, la verità è che una domanda di tipo etico è forse l'unica in grado di far cadere questi ragionevoli individui e le loro ragionevoli argomentazioni in una permanente contraddizione.

sabato 6 aprile 2013

"Che ci fa una tigre al centro di Roma?"



Dovremmo ricominciare a chiedercelo.

Vediamo continuamente animali posti dietro le sbarre, umiliati, strappati al loro ambiente naturale ed incarcerati affichè ci sia data la possibilità di ammirarli per il nostro intrattenimento, per il nostro diletto. Per permettere ai nostri figli di conoscerli, di prendere contatto con loro, cementificati nella deviata convinzione che ciò possa portare ad amarli, a rispettarli.
Siamo così abituati a considerare gli esseri di altre specie delle nostre proprietà, e a trasmettere, attraverso la nostra indifferenza, questa stessa concezione ai nostri figli, tanto da non renderci conto dell'evidente tristezza dello spettacolo che ci si profila davanti. Incrociamo lo sguardo spento di una tigre che ci fissa, gli occhi negli occhi, da dietro le sbarre, e sorridiamo, ce ne compiaciamo, invece che scoppiare in lacrime. Siamo sordi al suo linguaggio, al suo disagio, a quei ruggiti tuonanti che ci attraggono e spaventano, che altro non sono che un disperato grido di dolore, di rabbia e di sconforto.
La guardiamo, la ascoltiamo, ma non vediamo e sentiamo nulla, nulla di ciò che dovremmo immediatamente vedere e sentire.

Leggere, studiare, documentarsi... sono tutte cose importanti, ma non potranno mai insegnare ciò che insegnano le proprie emozioni. E le mie emozioni mi insegnano che, spesso, sono le domande più semplici, se vogliamo anche le più banali, a permetterci di ricominciare a riflettere, a riprendere contatto con l'evidenza dei fatti e con la profondità di noi stessi, senza perderci in mille costruzioni logiche e in mille discorsi artefatti che purtroppo, in un sistema kafkiano come il nostro, in cui l'assurdo è la norma e la normalità è ciò che di più ridicolo possa esistere, sembrano non essere in grado di accendere il più piccolo barlume di ragionevolezza.

"Che ci fa una tigre al centro di Roma?" Questa frase al megafono è stata come uno schiaffo. Eppure io ero lì, ero lì a presidiare contro il circo, e non per assistere ad uno spettacolo. Ero lì per far riflettere, per trasmettere il messaggio che non può esserci nulla di divertente nel vedere un animale in gabbia privato della sua libertà, che non può esserci nulla di educativo nell'insegnare ad un bambino a considerare gli animali come delle proprietà da ammirare da dietro le sbarre, nell'insegnargli che è normale, normale sborsare dei soldi per comprare un biglietto; per comprare la vita e la dignità stesse di  individui come lui.

Ero lì per far riflettere, e sono andata via riflettendo.

Quelle domande che non ci facciamo e che non rivolgiamo mai ad altri, proprio perchè fin troppo semplici e scontate, proprio perchè convinti di sapere già molto di più e di saperlo spiegare molto meglio, sono quelle che hanno il potenziale più devastante. Perchè sono dirette, vanno alla radice senza perdersi nei labirinti sovrastanti in cui è sempre troppo facile trovare un appiglio o svoltare all'ultimo per riuscire a nascondersi. Perchè, davanti ad esse, sperimentiamo l'inevitabile crollo di tutto ciò che abbiamo costruito intorno e all'interno di noi stessi. Assistiamo alla totale incapacità di rispondere e di risponderci, di opporre una qualunque obiezione. Possiamo articolare discorsi complessi, possiamo cercare di spiegare attraverso milioni di parole concetti che non dovrebbero aver bisogno di essere spiegati e resi evidenti, così come possiamo fare lo stesso per il motivo opposto, per giustificare qualcosa che in nessun caso può essere giustificato; ma nulla varrà mai quanto quell'attimo di silenzio che segue ad una semplice domanda che disarma.

E allora chiediamo e chiediamoci: "Che ci fa una tigre al centro di Roma?"
Non esiste risposta che non appaia stupida o insensata. 





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